(ripubblico la parte7 con un disegnino a sfrocoliare fantasie ;)
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(ripubblico la parte7 con un disegnino a sfrocoliare fantasie ;)
(Segue da Steso nel buio parte 13)“Amore? Ehy sveglia, dormiglione!” Non so come ci fossi arrivato ma ero nel letto di Rosa. Mi sentivo riposato come mai, completamente disteso. Rosa, seduta sul bordo del letto e china su di me, mi svegliava riempiendomi il viso di baci delicati. Indossava la stessa vestaglietta di seta rosa della sera prima, ma questa volta dalla scollatura si vedeva una canottierina di pizzo bianco. “Andiamo, dai, ti ho preparato la colazione. Farai tardi all’appuntamento con il professore. A che ora dovete vedervi?” “Mhm, alle 11” “Bene, sono le 9. Hai il tempo di fare colazione e prepararti con calma.” Mi alzai ed andai in bagno, mi sentivo stranamente euforico mentre infilavo un guaio dietro l’altro. Rosa mi aspettava in cucina, dove mi aveva guidato un magnifico odore di caffè misto ad un intenso profumo di cioccolata. Uno spettacolo da Mulino Bianco. La tavola, coperta da una runner rossa, era apparecchiata con cura e imbandita di con ogni ben di Dio. Tazze, tazzine, bicchieri, posate, la caffettiera fumante, latte, biscottini di ogni sorta, acqua, succo di frutta, marmellata e fette biscottare, miele e, su un lato, troneggiava un magnifico biscotto al cioccolato che pareva appena sfornato. E lo era. Rosa si era svegliata alle 7 e subito si era messa all’opera per offrire al suo uomo il risveglio migliore. Io, che ero abituato a fare colazione con un caffè appena, bruciato per lo più, la guardai con gratitudine vera. “Tesoro, perché fai tutto questo per me? Non me lo merito.” “Ma che dici? Certo che te lo meriti. Tu mi rendi felice.” Già, Cristo! Man a mano che mi risvegliavo, che i miei neuroni si mettevano in moto e la mia coscienza prendeva atto della situazione, quella magnifica colazione si faceva più amara. Ci si aggiunsero le coinquiline ochette di Rosa che, passando per la cucina, non smettevano di lanciare gridolini, scambiarsi sguardi d’intesa e salutarmi con sorrisetti sornioni cui rispondevo con sorrisi inamidati. Ero finito nei sogni di Rosa e, per quanto ci si stesse bene per un po’, non era il mio posto. Dopo la colazione, Rosa mi fece vedere che in bagno mi aveva preparato una coppia di asciugamani pulite, uno spazzolino e persino schiuma da barba ed un Bic da donna (“Mi spiace, per questa volta dovrai accontentarti di questo. Provvederò.”) Mi preparai. Ci salutammo con un bacio morbido. Uscii. Per strada i sensi di colpa tornarono ad assillarmi. Il mio migliore amico tradito, una brava ragazza, gooogle e premurosa, inculata in tutti i sensi. Sono un mostro. Mi faccio bello con l’umanesimo ma appartengo alla peggiore umanità possibile. Chiamai Rosa al cellulare. “Amore mio, già ti manco? Tu mi manchi già.” “Rosa, volevo solo dirti grazie. Sei carinissima. Davvero non credo di meritarmi tutto quello che mi hai dato in poche ore.” “Ancora con questa storia, tesoro. Ti assicuro che non faccio che cercare di restituirti una porzione della felicità che mi dai. Darti piacere è il mio piacere. Su, ora non ci pensare. Concentrati sulla tua letteratura. Ci vediamo dopo, ti preparo il pranzo.” “Ah, mhm, d’accordo, a dopo”. Pure a pranzo. Cominciavo a pensare che a Rosa mancasse qualche rotella. Sembrava aver davvero dimenticato quello che aveva sentito la sera prima, cui non fece mai più riferimento, non aveva protestato minimamente per come l’avevo sodomizzata con la furia di un animale, continuava a ripetermi che mi amava quando i baci che ci eravamo scambiati si contavano sulle dita di una mano e si comportava come fossi il suo compagno di una vita. Questo non mi aiutava a sentirmi meglio. Peggiorava la situazione. Chiamai anche Luisa, per raccontarle l’accaduto. Già sapeva di me e di Rosa, l’aveva saputo da Michele (diavolo se corrono le notizie). Non sapeva il come e il perché, ovviamente. Le spiegai, le dissi la versione che avevo raccontato a Rosa, qualora Rosa avesse chiesto chiarimenti a lei. Luisa fu molto fredda. Mi disse che magari poi un giorno ne avremmo parlato, che ora non aveva tempo e che comunque erano problemi miei. All’università mi beccai il cazziatone del professore perché “Negli ultimi tempi lei non ci sta con la testa, siamo alle strette finale, non faccia stupidaggini”, e quando uscii trovai un sms di Michele: “Mi sa che mi devi raccontare qualcosa. Chiamami. Ti voglio bene.” Perfetto, cazzo! Avevo un disperato bisogno delle cure di Rosa, e che la mia coscienza si facesse i cavoli suoi.
Rosa mi sfiorò le labbra in un bacio che riuscii a mala pena a ricambiare, tanto ero rilassato. Sfiorò il mio petto prima con le mani, con movimenti ampi, ungendomi, poi coi grossi seni, sfiorandomi i capezzoli con i capezzoli. Poi si fece più su, strusciandomi i seni sul viso, muovendo il petto sinuosamente. Un capezzolo turgido mi scivolò tra le labbra, presi a leccarlo avidamente finché scivolò via. Poi venne l’altro capezzolo che succhiai e mordicchiai con la punta degli incisivi. Poi Rosa cominciò ad aiutarsi con le mani, spingendo i seni più forte contro il mio viso finché si sollevò e mi infilo la lingua in bocca, facendosi largo tra le mie labbra socchiuse una, due, tre volte. Poi si tuffo sul mio petto leccandomi i capezzoli facendomi ansimare di piacere per poi mordicchiarli provocandomi un piacevolissimo lieve dolore, con dei picchi più acuti che mi facevano sobbalzare. Senza staccarmi la lingua dal petto ridiscese finché i suoi seni non erano all’altezza del mio pene di pietra. Allora si sollevò un poco, si versò dell’olio sulla mano e mi carezzò il cazzo e le palle ungendoli tutti. Poi si unse le tette e cominciò a strusciarle sul cazzo. Incredibile che quella calma e rilassatezza potessero convivere con l’eccitazione che mi scuoteva da capo a piedi facendomi sobbalzare a tratti. Rosa cercò le mie mani con le sue facendomi capire che dovevo aiutarla mentre si reggeva sui gomiti. Cosi le strinsi le mammelle attorno al mio pene e cominciai ad ondulare piano il bacino. Il mio cazzo scompariva e riemergeva tra quelle mammelle generose ed accoglienti.Poi si sollevò e scese ancora un poco cominciando a leccarmi e mordicchiarmi l’inguine. Il mio pene sobbalzava al ritmo del mio piacere e del mio battito cardiaco richiamando a sé quella lingua che si faceva desiderare ritardando a concedersi.Finché finalmente prese a leccarmi le palle facendomi sobbalzare con brividi di piacere quasi insopportabili. Poi mi leccò sotto le palle e, facendomi piegare u po’ le gambe cominciò a leccarmi l’ano prima delicatamente, poi con più forza, finché la lingua non si aprì un varco penetrandomi sempre più a fondo.La sua lingua guizzava dentro e fuori. Quando si scostò, prendendo a succhiarmi le palle, il suo dito medio trovò il perineo rilassato. Lo sentii entrarmi dentro e stimolarmi la prostata facendomi scoprire un piacere sconosciuto. Allora la sua lingua dalle palle risalì la lunghezza del mio pene fino alla cappella. Mi sfilo il dito dal culo e mi afferrò il cazzo. Mi prese il glande tra le labbra, lo leccò e poi affondòancora ed ancora. Sempre più profondamente, sempre più giù fino a far scomparire il mio cazzo tra le sue labbra, nella sua gola. Fino ad arrivare a leccarmi le palle per qualche secondo con il cazzo in gola. Quando rialzò il viso si mosse fino ad essermi di nuovo sopra, dritta sul mio pene pulsante. E cominciò a strusciarmi la figa sul cazzo e man mano che si strusciava si bagnava e si apriva sempre di più ed il mio cazzo, avvolto lateralmente dalle sue grandi labbra, strusciava sul suo clitoride inturgidito e gonfio. I suoi umori mi bagnarono abbondantemente il cazzo e quando lei lo prese per infilarselo nella figa, scivolò dentro senza nessuna resistenza. E dentro, la sua figa era un nido accogliente, caldo e grondante. Si mosse con movimenti impercettibili all’inizio, giusto l’ondulare ritmico dei nostri respiri fusi in un unico ritmo di piacere. Mi sembrava una geisha, una dea del piacere, dritta sopra di me si strizzava le tette con le mani. Poi prese le mie di mani e se le portò al petto, ed io le strinsi, le strinsi i capezzoli mentre in ritmo si faceva più veloce di pari passo ai nostri respiri. Cominciammo a gemere all’unisono mentre i colpi che sferrava col bacino si facevano sempre più forti e profondi. Sentivo le palle bagnate del suo piacere. Venimmo assieme in una cascata di umori, gridando come ossessi. Sentii le contrazioni violente della sua vagina, del suo amplesso. Restammo qualche istante con gli occhi immersi negli occhi mentre i nostri respiri si regolarizzavano. Quando si alzò, ed scivolai fuori, un abbondante fiotto di sperma e secrezioni vaginali mi ricaddero sul cazzo. Rosa ci si piegò sopra e prese a leccarmelo e succhiarmelo e per quanto la cosa non mi avesse mai nemmeno sfiorato il pensiero in quel momento mi venne spontaneo di ricambiare il favore. La feci girare e ci mettemmo a 69 su un fianco e cominciai anche io a leccarla, infilando la lingua più dentro possibile e succhiando fino all’ultima goccia del nostro piacere. Così avemmo un altro amplesso, si fece venire in gola, mi inondò le labbra. E a questo punto credo che svenni (continua... commentate, gente)
"Chiudi gli occhi e rilassati. Non pensare a niente e sentimi". Sì, non voglio pensare, prenditi cura di me. Sto cedendo alle suo coccole. Mi copre il pube con un’ asciugamano candida e morbida. Inizia dalla testa, massaggiandomi dapprima la fronte con movimenti pacati dei polpastrelli dal centro alla periferia. Poi, sempre nello stesso verso tocca alle arcate sopracciliari. Passa a massaggiarmi coi polpastrelli dei pollici le tempie, con movimenti rotatori. Poi il viso,gli zigomi, il mento. Tensioni che sfumano in quell’atmosfera ed in quelle pressioni sapienti e premurose. Finalmente mi rilasso, mi abbandono. Dopo un po’, non so quanto, si sposta ai piedi del materassino, facendomi mettere prono. Prende il mio piede destro carezzandolo sul dorso con mani morbide e lisce. Sento che mi versa dell'olio sulla pianta e comincia a massaggiare con i polpastrelli dei pollici. Muove le dita con maestria toccando con precisione dei punti dai quali partono delle piccole scosse di piacere che si irradiano in varie parti del corpo. Avevo già sentito parlare di riflessologia ma non gli avevo mai dato troppo credito prima di ora. Era meraviglioso. Stavo rubando un amore che non meritavo ma ora non volevo pensarci, prescrizione della massaggiatrice! Dalla pianta passò alle singole dita distendendomele e di riflesso sentivo come se l'intero mio corpo si distendesse e si alleviassero le tensioni scheletriche. Poi passò al piede sinistro. A mano a mano le sue mani diventavano più calde ed il loro tocco, se possibile, ancora più piacevole. Risalì ai polpacci ungendoli e massaggiandoli energicamente con le dita e con il palmo delle mani. Sembrava che i piedi mi si stessero staccando dal resto del corpo per volare in un'altra dimensione senza forza di gravità. Quando arrivò a sfiorare la giuntura all’altezza del ginocchio dei brividini corsero su per le cosce fino al sedere. Cosce che ora bramavano quel tocco magico. Desiderio appagato dopo poco, poco a poco. Con movimenti rotatori dei pollici Rosa risaliva piano piano. E più risaliva, lentamente, più il desiderio cresceva spostando il suo baricentro verso l’alto. Quando le sue dita cominciarono ad infilarsi di qualche centimetro sotto l’asciugamano, sfiorandomi l’interno coscia, al piacere si aggiunse un’eccitazione di una forma che non avevo mai assaporato. Un’eccitazione aperta e naturale, senza tensioni, senza l’aggressività di quella doppia R dell’arrapamento. Poi Rosa scostò l’asciugamano,si versò altro olio sulle mani e prese a massaggiarmi i glutei. Ad una pressione energica seguiva una carezza sfiorata e ad ogni tocco, piacere, desiderio ed eccitazione superavano un apice che ogni volta sembrava insuperabile. Con i movimenti rotatori, i pollici giunsero a sforarmi l’ano e questa volta i brividi sembravano risalire nella pancia. La mia erezione si fece massiccia e Rosa seppe cambiare intensità al momento giusto, come leggendo attraverso le mani le vibrazioni del mio corpo, risalendo ala zona lombare. Massaggiò ed accarezzò tutta la mia ampia schiena, le spalle larghe, il collo, le braccia e le mani fino a farmi sentire come di gomma. Fluido, senza peso. Morbido e caldo come pongo manipolato a lungo. Quando Rosa sentì che ero pronto mi fu sopra e prese a sfiorarmi il collo con le labbra, poi prese a baciarlo e a mordicchiarlo delicatamente scendendo verso i trapezi per poi ripercorrere il cammino inverso con la lingua, fino a sforarmi le orecchie. Mi sentivo vibrare di passione e di piacere. Sentii le sue grandi mammelle morbide e lisce posarsi sulla mia schiena e scivolare verso il basso, fino a sfiorarmi il sedere. Poi cominciò a leccarmi le natiche, poi a morderle piano piano fermandosi a millimetri dall’ano, poi sfiorandolo appena. Di nuovo la vibrazione nella pancia si fece forte e fu allora che Rosa mi chiese di voltarmi. Apersi gli occhi e la vidi sopra di me, completamente nuda. Le ginocchia ai lati dei miei fianci, le mani posate all’altezza delle mie spalle. Incontrai dapprima i suoi occhi puntati dentro i miei con un fuoco dolce e malizioso che faceva brillare quel viso fin ora anonimo. Vidi i suoi seni abbondanti e bianchi con capezzoli proporzionati di un rosa acceso. Dio, come ho fatto a pensarla bruttina. E il suo pube, dove appena un paio di ore prima avevo sentito un cespuglietto di peli, era ora completamente glabro e liscio.
(segue da Steso nel Buio parte 10) Casa di Rosa è... rosa. Pulita e profumata. La sua stanza il nido di una principessina, con i suoi ricamini e le foto di amiche felici. "Bisogna che ci laviamo via di dosso la sporcizia di questa sera. Vado prima io, faccio subito" e si avvia verso il bagno. Anzi che non mi abbia chiesto di andare con lei, forse mi vuole riincontrare pulito, che tenera. Ma che dico? è assurdo. Dopo qualche minuto esce dal bagno in accappatoio (rosa, certo), emanando un profumo di muschio bianco e portandomi un accappatoio pulito. "Vai, ti aspetto”. Mi feci la doccia strofinandomi forte cercando di immaginare che forma avesse la prima notte d'amore che una come Rosa potesse avere in mente. Roba da far cariare i denti. Però certo, non so se fosse per il mio stato emotivo confusionale e la mia voglia di resa, ma l'idea di abbandonarmi alle carezze ed agli abbracci di quelle carni morbide, al calore di quel suo improbabile sentimento, irresponsabilmente mi eccitava. Volevo abbandonarmi. Non potevo, non ora, non con lei, vigliacco. Ma non avevo alternative quindi tanto valeva starci e godersela. Poi si vedrà. Poi si vedrà, ultimamente non facevo che spegnere il cervello e subire gli eventi, ma c'ero dentro fino al collo e non riuscivo ad uscirne e i soli tentativi, mentali se non altro, mi avevano spossato. Tornato in camera trovai la stanza in penombra. La luce spenta, candeline accese in vari angoli della stanza per concentrarsi attorno al tappetino per i massaggi steso al centro della stanza. Già, Rosa era una massaggiatrice, non ci avevo pensato prima. Il brucia aromi emanava un profumo di sandalo e dalle casse dello stereo uscivano melodie orientali. Tipico! Stereotipico, ma fanculo, sono qui, mi ci tuffo. Rosa ha indossato una vestaglietta di raso (indovina il colore) ed è seduta sui talloni accanto al tappetino. Mi fa segno di togliermi l'accappatoio e stendermi sul tappetino, supino
(Segue da Steso nel Buio parte 9) Rosa, ancora faccia al muro, si tira su le mutandine e si sistema la gonna. Resta qualche istante ferma, le manine appoggiate al muro, sembra un cucciolo tremante. Ed il mio sentirmi un verme cresce esponenzialmente. Rosa si gira di scatto e mi si butta tra le braccia stringendomi con una forza che comunica più di quanto la mia scialba interiorità possa aver mai contenuto. Un sentimento vero, un dolore di ghiaccio da scacciare nel calore di un abbraccio, uno stupore doppio di rigetto e di ritorno, di volo che finalmente è giunto al nido. Mi affonda le dita nei panni, nella carne, mi spinge il viso sul collo, aderisce a me con tutto il corpo chiedendo amore e rassicurazione. Dal canto mio non mi resta che cercare di imitarla, di restituirle, simulando con l'angoscia alla gola, almeno una parte del trasporto col quale si sta abbandonando a me. Certo, mentre la stringo non riesco a non pensare al suo culo aperto che starà facendo colare nelle mutandine l'eredità di Luisa. Scaccio questi pensieri bestemmiandomi, ma quelli tornano. "AmoremioAmoremioAmoremioAmoremio", dice stringendomi sempre più forte, "dimentichiamo tutto, è passato, cancellato. Oggi nasce un amore, andiamocelo a prendere, sì?" "Certo tesoro", sono in gabbia, una seconda gabbia,forse ancora più ingombrante della prima, "ti accompagno a casa?" "Sì, andiamo amore mio".E via in motorino, benedico per la prima volta il fracasso della marmitta che ci impedisce di parlare, che mi concede un attimo di solitudine alla disperata ricerca di una via di fuga senza risultati catastrofici. Ma d'altra parte neanche lei sembra voler parlare. Le braccia arrotolate attorno alla mia vita forteforte, la testa appoggiata tra le mie scapole, in dolce abbandono. Rosa, come dicevo, non è mai stata il mio tipo neanche come amica, non so cosa ci trovi Michele. è femminuccia. Tutta cerimonie, pippippippi, e vestitini rosa coi fiocchetti confetto e la borsetta alla moda, e si lamenta e non le sta mai bene niente. Ma se fino a mezz'ora fa mi stava quasi ufficialmente sulle palle, cero non meritava quello che le stavo facendo, e non riuscivo a non sentire il bisogno di fare un passo verso di lei. Meglio, quel che meritasse non lo sapevo, ma ero in ballo e per il momento mi toccava ballare, facendo attenzione a non peggiorare le cose. Fisicamente, poi, di viso era slavatella. Capelli biondini lisci ed impalpabili, senza carattere, non un lineamento del viso che fosse uno che attirasse l'attenzione. Il suo ovale era proprio ovale, di una regolarità quasi informe. Occhi nocciola, belle labbra rosa e carnose, quelle si. Non brutta, assolutamente, ma insignificante. Appena in carne, però bisogna ammettere che aveva un culetto per niente male e delle tette enormi. Arrivati sotto il suo portone mi fa: "Ora che abbiamo dimenticato, bisogna che ci sia qualcosa di meraviglioso che ci ricordi questa serata stramba. Dai, resta a dormire da me." "Rosa, vorrei tanto, lo sai, ma stanotte proprio non posso. Domani devo vedere il prof. ed ho una serie di cose da mettere a posto" (era una scusa, ma questa volta era vera. Grande prof. se mi togli dagli impicci anche solo per questa notte, ti faccio un monumento) "Tesoro, io ci tengo alle tue cose e farò di tutto per farti lavorare in serenità, perché ti amo veramente. Ma stanotte ci sono delle priorità e se te ne andassi questa proprio non te la perdonerei" Ecco, stasera mi ha perdonato ben altro e non concede nulla al mio (strumentale) senso del dovere. Ma poi tutti questi ti amo, ti amo veramente, così all'imporvviso, dall'oggi al domani, dopo un'inculata. Vedi, ecco quello che non sopporto di Rosa, la principessa nel mondo dei sogni. L'amore è una cosa seria. "D'accordo tesoro" mi mordo la lingua "hai ragione, lo desidero tanto anche io. E salii
(segue da steso nel buio parte 7) Il gelo durò attimi interminabili. Pupille incollate nelle pupille, poi quelle di Rosa si smagnetizzarono dalle mie e Rosa, superandomi a testa bassa si involò verso l'uscita. Cazzo. Dovevo fermarla. Corsì giù per le scale chiamandola, senza avere un piano preciso su cosa dire e come. Finché non la raggiunsi, la strattonai per un braccio e mi ci trovai faccia a faccia. Istinto di sopravvivenza. Senza averlo minimanente pensato mi gettai su di lei baciandola.
"Che diavolo fai, stronzo"
"Rosa, ti prego, questa è una follia. Una cazzata da ubriachi che rischia di mandate tutto a puttane".
"Se si tratta di mandare a puttane l'amicizia con un pezzo di merda come te, per Michele è tanto di guadagnato. E mollami."
"Non sto parlando di me e Michele, Rosa. Parlo di te e di me. So che non sono stato chiaro con te e che quello che è appena successo ti confonde, ma è una vita che cerco di farmi coraggio, Rosa. Ti amo." (ecco, la frittata è pronta) "Ti prego, cancella tutto e ricominciamo da questo istante."
"Ma tu sei completamente matto, e stronzo e bastardo efiglio di puttana", ok, il concetto è chiaro, vai avanti. "Ti sei appena scopato la ragazza di Michele" (Seeee, magari!)
"Ascolta Rosa, hai tutta la ragione del mondo, ma calmati un attimo. Sono mesi che cerco il coraggio e non può finire così. Ecco, stasera t'ho vista con quel tizo che parlavate" (cazzo, avrà parlato conqualcuno voglio sperare) "Sembravate così intimi che ho pensato che... avevo aspettato troppo e mi detestavo"
"Ma di chi diavolo stai parlando, di Marco? Solo con lui qui dentro sono in intimità. E sappi che Marco è gay, ma al di là di questo, vedi la ragazza di cui ti dici innamorato flirtare con un'altro e ti scopila ragazza del tuo migliore amico? Complimenti"
"Ero deluso, addolorato e tremendamente ubriaco. Lo stesso Luisa. Ha litigato con Michele"
"Non hai aspettato molto per approfittarne, eh?"
"Ma dai, due ubriachi incazzati che fanno una stronzata insieme. Ti prego Rosa, perdonami". Non attaccava, quindi dovevo passare ad una pressione maggiore. Inconsapevole stratega autolesionista! Me la strinsi addosso avvicinando il volto al suo.
"Rosa, amore mio, perdonami, amami" (Continua)
(segue da steso nel buio parte 6)
(segue da steso nel buio parte 5)
(segue da steso nelbuio parte 4) Il giorno seguente mi svegliai distrutto, coi postumi della sbornia e rintontito dal sonno. Oltre al tremendo stato fisico, al risveglio la vergogna mi attendeva più forte che mai vincendo il ricordo dell'eccitazione. L'incontro con il professore fu pessimo e per qualche giorno rimasi in uno stato confusionale assoluto. I sensi di colpa per Michele (tecnicamente non avevo fatto nulla, non le avevo neanche visto le mutandine), la vergogna, uno strano senso di sporcizia in un gioco cui Luisa aveva comandato ma a partecipare ero stato io, lei era rimasta pulita. Non uscii di casa per una decina di giorni, tanta era la paura di incontrarla e quando finalmente mi decisi ad uscire, non riuscivo asmettere di guardarmi intorno terrorizzato al pensiero di vedermela spuntare davanti. Oppure camminavo a testa bassa,se vedevo gruppetti di ragazzi tra cui poteva esserci lei. Una sera successe. Ero appena uscito per bermi una birra con alcuni amici ma prima ancora di raggiungerli me la vedo venire incontro sparata.
"Eccoti, dov'eri finito? Portami a casa"
"Beh, io veramente... Cioè sì, in effetti stavo tornando a casa anche io, andiamo".
Il cuore mi batte all'impazzata. Continuo a sentirmi nudo come se quella sera non mi fossi rivestito e non lo avessi fatto fino ad oggi. Ma le sensazioni cambiano in un baleno davanti a lei e di nuovo la vergogna, la quasi paura, si vanno a mescolare alla libidine e di nuovo l'eccitazione di impossessa di me. E di nuovo mi chiede di salire, o forse me lo comunica dato che non aspetta che le risponda. E di nuovo nella sua casa ordinata e pulita. E di nuovo nella sua stanza. E di nuovo:
"Spogliati"
Evito un battagliare vano e frustrante ed in meno di un minuto sono nudo (ma mi viene più naturale questa volta visto che nudo già lo ero). Questa volta mi benda gli occhi e mi lega le mani con la cintura rosa del suo accappatoio. Una mano dietro, l'altra avanti e la cintura che mi passa tra le gambe, sotto le palle. in questo modo la mia possibilità di movimento è minima, ho giusto lo spazio per menarmelo, che tanto me lo chiederà di nuovo.
"Questa volta voglio godere anche io, per questo sei bendato".
Il sangue mi schizza al cervello e nel cazzo, sto per averla, alle sue strane condizioni ma sto per averla. Sento il cazzo duro come una roccia, sono arrapato come mai e l'eccitazione sale quando la sento spogliarsi. Il rumore dei vestiti che si sfilano, che cadono in terra.
"Comincia adaccarezzarti. Bravo, così. Ora apri la bocca"
Mi ci infila qualcosa, sono le sue mutandine, con la lingua sento che è un perizoma, lo assaporo e mi inebrio di lei.
"Da bravo, sai quello che devi fare, masturbati"
Ok, mi vuol far scaldare ma me la darà. Comincio a pompare. La cintura mi struscia sotto le palle e in mezzo al culo.
"Bravo, continua e dimmi che sei mio"
La sento vicinissima, sento il calore del suo corpo sulla pelle, ma non mi tocca. Comincia ad ansimare, si sta toccando anche lei.
"Sono tuo, Luisa, prendimi".
Ma continua a non toccarmi. Inizia a sospirare, poi ad ansimare piano piano. Poi sempre più forte. Io sto già gemendo dal piacere,voglio la sua fica, è a pochi centimetri da me, è nuda e bagnata, ma non la posso avere. Il senso di impotenza e sottomissione mi frustra e mi eccita. è a un passo ma legato come sono non posso neanche togliermi la benda per guardarla. Ora comincia a gemere anche lei, nell'eccitazione la sento perdere il controllo.
"Tu vorresti scoparmi, eh, porco, vorresti scoparti la ragazza del tuo migliore amico. Sei uno schifoso porco e sei mio"
Nell'aria posso sentire il suo odore, l'odore della sua eccitazione mi inonda e mi manda in orbita. Sono completamente perso e sto per esplodere. Lei se ne accorge.
"Non ancora, maialino, non ancora"
Mi mordo le labbra e cerco di trattenermi e fa quasi male. Quasi soffro ancora per qualche minuto, fino a quando sento il suo calore defilarsi un pò sulla destra. Fin quando i suoi gemiti non si fanno fortissimi, fin quando non la sento venire violentemente ed esplodo anche io.
Quando mi toglie la benda è perfettamente rivestita.
"Pulisci a terra, rivestiti e vattene. Ti chiamo"
(continua)
segue da Stesop nel buio parte3)
“Dimmi che sei mio”.
“Sì, sono tuo Luisa. Ah, sono tuo, sono tutto tuo”. Continuo ad ansimare ed a gemere.
Le sue mani cominciano a correre sul suo corpo, ad accarezzarlo, ad evidenziarne le forme. Allarga un po’ le gambe e con la mano, da sopra al vestito, si accarezza la fica.
“È questa che vorresti, eh?”
“Sì, Luisa, voglio la tua fica, voglio fotterti, ti prego, sto per venire, scopami”
“Continua a masturbarti e dimmi che sei mio, dimmi che sei solo mio”.
“Sono tuo, Luisa, sono solo tuo, sono solo tuo”. Non riesco a contenere i gemiti, sto per esplodere.
“Continua a dirlo”.
“Sono solo tuo, sono solo tuo, sono solo tuo”. E mentre continuo a ripeterlo, ansimando e gemendo come un pazzo, il mio corpo di contrae nel massimo piacere. Grido, sono all’estasi, vengo in fiotti senza fine. Lo sperma schizza lontano, finisce sul pavimento ai suoi piedi, come me.
“Beh, niente male finché è durato”.
Mi passa dei fazzoletti di carta.
“Pulisci a terra e rivestiti”.
A questo punto, dopo l’estasi e il delirio, mi sento un lombrico nudo, mi sento umiliato, tremendamente ridicolo. Lei non si è neanche scomposta. Che diavolo mi è preso, che diavolo mi ha fatto fare. Mi vergogno tantissimo eppure resto lì piegato a pulire, ancora nudo, a fare ancora quello che mi dice lei. Sono incapace di fare qualsiasi cosa, voglio solo scomparire mentre continua a guardarmi.
“Sei mio, sei mio”.
Sono suo. Mi rivesto senza una parola. Neanche lei parla, ma lei è a suo agio. Io sono svuotato eppure continuo a desiderarla ardentemente, a desiderare di essere suo, di nuovo. Ma devo scomparire adesso. Devo uscire da questo stato emotivo, devo riprendermi.
Sulla porta mi dice: “Sei bravo, mi piaci”. E mi stampa un bacio sulle labbra prima di chiudere la porta.
In motorino, dopo tanta aria in faccia, mi vergogno ancora ma ammetto a me stesso che è stata l’esperienza più potente della mia vita.
(continua)
(segue da Steso nel buio parte 2)
“Spogliati”.
“Mah, così? Perché non lo fai tu?”
“Sssshhh. Spogliati ho detto”.
“Uff, Luisa tu mi fai impazzire”
Continua a fissarmi. Faccio un respiro e cedo.
“Ok, Luisa, sono tuo, dimmi tutto quello che vuoi”.
Un angolo della bocca si incurva in un mezzo sorriso di soddisfazione mentre continua a guardarmi. Io mi spoglio. Via la maglietta, via le scarpe e i pantaloni. Esito un attimo ma mi basta incontrare il suo sguardo per proseguire. Via le mutande. Sono nudo davanti a lei. Sono inerme, sono vinto e sono incredibilmente eccitato dall’esser vinto da lei. Sono mortificato.
“Adesso voglio che mi guardi e ti masturbi”.
Non provo neanche a protestare, sono in suo potere, rapito. La voglio, la adoro, voglio essere suo. Mi vergogno, mi sento un lombrico, ma godo infinitamente ad essere suo. Inizio a masturbarmi mentre lei fa ancora qualche passo indietro e si siede sul letto continuando a guardarmi con quegli occhi di fuoco. Accavalla le gambe con un gesto elegantemente ampio, controllato. Arrivo ad intravedere per un istante l’inguine, nulla più, ma ogni centimetro di quella pelle è la mia terra promessa. Ogni centimetro e una corda che mi allaccia, che mi tira a se.
L’eccitazione è alle stelle. Mentre me lo meno comincio ad ansimare.
“Oh Luisa, ti voglio”. Il mio respiro si fa sempre più profondo e soffiato.
“Questo lo decido io”. Si stringe i seni tra le mani “Vorresti queste?”
“Sì, Luisa. Ti voglio tutta, ti adoro. Voglio scoparti”.
“Dimmi che sei mio”.
“Sì, sono tuo Luisa. Ah, sono tuo, sono tutto tuo”. Continuo ad ansimare ed a gemere.
Le sue mani cominciano a correre sul suo corpo, ad accarezzarlo, ad evidenziarne le forme. Allarga un po’ le gambe e con la mano, da sopra al vestito, si accarezza la fica.
“È questa che vorresti, eh?”
“Sì, Luisa, voglio la tua fica, voglio fotterti, ti prego, sto per venire, scopami”
(continua)
(segue da Steso nel buio)Arrivati. Chiedimelo, chiedimelo, non farlo, cazzo.
Scende, mi gira intorno e piega il viso di lato con uno sguardo da discola.
“Grazie, bella serata, ma a te un’altra birretta non andrebbe? Ne ho un paio in frigo”
Resto di pietra per un istante eterno.
“mmm, in effetti sì, ma…”
“Dai, è tutta la sera che vai avanti a se, ma, forse, non so. Tu hai proprio bisogno di una guida, da solo non ce la fai proprio, eh? Vieni su”
“uhm, ok dai. È solo che domani dovrei vedere il professore ed essere un minimo lucido, ma abbiamo fatto 30…”
“Facciamo 31”
Basta, me la scopo, la apro come una mela. Michè, è tutta colpa sua, la punirò anche per te, stai con una troia.
Mentre salgo le scale guidato dall’ondeggiare del suo perfetto culo cerco di giustificarmi, è proprio una sfacciata. Ma poi come si permette? Ho bisogno di una guida, è arrivata la donna vissuta di 21 anni. Te la faccio vedere io la guida, te la faccio sentire dentro questo culo perfetto di stronzetta.
La casa sembra proprio la mia dei primi anni universitari: un corridoio lungo e buio con tante stanzette che ci si affacciano. Beh, è più pulita ed ordinata della mia, non puzza di fumo stantio, non ci sono lattine di birra finite nel bidet, né poster antagonisti alle pareti, né sconosciuti svenuti sotto il tavolo. Ok, diciamo che solo la struttura la ricorda vagamente. Luisa tira dritto verso la sua stanza (e la birra?), mi fa entrare e mi chiede di chiudere la porta.
“E la birra?” Cazzo, l’ho detto!
“Dai, chiudi ‘sta porta”.
Vi volto e chiudo la porta, mi volto di nuovo verso di lei e me la trovo ad un centimetro, con quegli occhi di fuoco piantati nei miei. Sono inchiodato alla porta, sono paralizzato.
“Io ti voglio mio adesso”.
“Luisa, noi, non, non sta proprio bene. Cioè, sei bellissima, ti desidero tantissimo ma… insomma, Michele… oddio”. La mia tracotanza di pochi istanti prima è svanita in un soffio. Sono impietrito, terrorizzato, tremendamente eccitato.
“Ssshhh. Ti voglio mio”. E nel sussurrare queste parole mi prende i polsi e li blocca contro la porta. Non ha bisogno di forzare perché non oppongo la minima resistenza. Sono completamente in balia di lei, sono posseduto, sono suo. Avvicina il suo meraviglioso viso al mio, lateralmente. Mi sfiora la guancia, si discosta. Si avvicina di nuovo, i suoi seni sul mio petto, le labbra a pochi centimetri dalle mie. Ho un’erezione esplosiva nei pantaloni. Si allontana di nuovo, lascia i miei polsi, fa un paio di passi in dietro.
(continua)
Steso nel buio denso da un tempo che ormai ha perso qualsiasi misura. Ore, quante? Giorni? No, giorni no, ore. Devono essere ore, ma quante ore è impossibile dirlo. Qui il tempo non esiste, è un concetto tanto svuotato quanto opprimente. Perso il tempo, perso lo spazio. O quasi. Nel buio concreto ed esteso, nel buio che ha corpo - come di ovatta nera - aprire o chiudere gli occhi non fa nessuna differenza. Il freddo delle piastrelle sotto le spalle, sotto gli avambracci, sotto i glutei ed i polpacci. Freddo. Freddo l'unico contatto con lo spazio e l'estensione. E il battito del mio cuore che in questo silenzio totale, in questa assenza di tutto, mi sussurra che sono vivo.
E ritorno con la mente ad una sera spensierata di universitari. In piazza a bere birra e ridere di niente e bere ancora birra e ridere di più. Era due anni fa, avevo 30 anni ed avevo appena iniziato il mio terzo ed ultimo anno di Dottorato in Lettere Antiche. Meglio tardi che mai.
Quella sera c’era anche Michele, il mio più caro amico. Eravamo stati compagni di banco, di studi e di sbronze per 7 anni all’Università, dopodiché avevamo iniziato a vederci di meno perché lui aveva preso la strada dell’insegnamento ed ogni anno cambiava paesino per stare appresso agli incarichi ed alle supplenze che gli capitavano. Quella sera Michele ci presentò Luisa, la sua ragazza. Luisa, che era del paese in cui aveva insegnato Michele l’anno precedente, aveva appena preso casa in città perché si era stancata di fare la pendolare. E perché voleva divertirsi, diceva. Era al secondo anno di giurisprudenza, aveva appena 21 anni ma un aspetto da donna. Ed era di una bellezza da mozzare il fiato: la figura slanciata avvolta in un vestitino bianco che le cadeva addosso come se fosse sorto dalle sue forme, la carnagione tra l’ambrato ed il dorato, la pelle liscia. I lineamenti del suo viso erano dolci, ma decisi. Gli occhi neri, contornati da una sottilissima linea di matita e da ciglia lunghe, risplendevano di un fuoco affamato. Il naso piccolo ed affilato. Le labbra carnose erano di un colore che si avvicinava al cremisi. I capelli castano scuro, lunghi e lisci, raccolti dietro la testa con delle ciocche sciolte ad incorniciarle il viso. Quando ti guardava aveva uno sguardo talmente intenso e penetrante da mettere quasi in soggezione. Era uno sguardo senza filtri, senza timore. Forse semplicemente uno sguardo che guarda, che guarda veramente, senza la paura di essere guardato.
Passai quella serata a mordermi le labbra, a rimproverarmi ogni volta che il mio sguardo cadeva sulla sua scollatura, su quei seni sodi, generosi. E oh, quel culo. Da svenirci. Il vestitino ci cadeva sopramorbido, ma mal celava la perfezione che doveva esserci sotto. Nell’appoggiarsi il vestitino faceva una fossetta in alto tra i glutei.
È la ragazza di Michele! È la ragazza di Michele!
Ogni volta che la sua pelle sfiorava la mia un brivido percorreva tutto il mio corpo. Ero in uno stato pietoso. Cominciai a farfugliare cose stupide. Sono schifosamente debole, merda! È la ragazza di Michele!
Ma la birra continuava a scorrere, Luisa era meravigliosa e Michele il giorno dopo aveva lezione alle 8 e se ne andò. Poi se ne andarono Luigi, Stefano, Rosa, Roberto e Francesca. Luisa l’avrei accompagnata io a casa in motorino dato che abitavamo nella stessa zona.
Non so quanto tempo rimanemmo in piazza, né ricordo bene di cosa parlammo per tanto tempo. Fatto sta che lo sguardo di Luisa si fece quasi canzonatorio e malizioso. Dovevo traspirare agitazione da tutti i pori e non credo ci volesse il suo istinto femminile per capire. Eppure restava lì, giocava con me forse, dovevo essere abbastanza ridicolo così impacciato com’ero con lei. Quel sorriso nei suoi occhi, cosa voleva dire? Era un buon segno o ero solo una preda da snidare, prendere per la gola, attirare per poi metterla al tappeto senza dover neanche tirare un pugno. O non era niente di tutto questo, era la birra, era la sua voglia di ventunenne di divertirsi in piazza con gli amici, era la birra. Diavolo, perché mi faccio tutte queste pippe mentali mentre ho davanti una ragazzina di 21 anni che mi da lezioni di relazioni pubbliche.
In un modo o nell’altro arrivò il momento di accompagnarla a casa. Sul motorino le sue mani si stringevano sul mio petto e di tanto in tanto un piccolo movimento delle dita sembrava voler carezzare il mio ventre. Il suo viso proprio sopra la mia spalla, così vicini da sfiorarci ad ogni sobbalzo del motorino. Le sue cosce strette attorno al mio sedere. Sentivo i suoi seni pigiati sulla mia schiena e mi pareva di impazzire. Scusa Michele, ma se mi chiede di salire io me la scopo tutta la notte. Scusa amico mio ma sto per esplodere.
Che scemenze, non me lo chiederà mai, perché dovrebbe? E soprattutto, non farei mai una cosa simile a Michele.